Settimana scorsa, in una sola giornata, ben cinque persone hanno perso la vita mentre stavano svolgendo il proprio lavoro. Salvatore Cordaro, Casimiro Arvonio, Carmelo Costanzo, Giovanni Tomasoni e Michele Capitani, questi i nomi dei lavoratori deceduti.
Salvatore Cordaro, 41 anni, operaio in una cava, è stato travolto da materiale roccioso a Nicolosi (Catania); Casimiro Arvonio, 30 anni, operaio, schiacciato da tre bobine metalliche a Nichelino (Torino); Carmelo Costanzo, 46 anni, travolto da una macchina utilizzata per la rimozione di binari e pietrisco sulla linea jonica delle Ferrovie dello Stato a Policoro (Matera); Giovanni Tomasoni, agricoltore bergamasco di 53 anni schiacciato da un albero che stava potando a Fara Gera d’Adda (Bergamo); Michele Capitani, 61 anni, precipitato da un’altezza di quattro metri nella tromba di un montacarichi nel Teatro Sociale di Pinerolo (Torino).
Da nord a sud, il lavoro ha ucciso. Quando fanno notizia, le morti sul lavoro vengono chiamate “morti bianche”, come se nessuna mano fosse responsabile dell’accaduto. Se cominciassimo invece a chiamarle come si faceva negli anni sessanta, utilizzando il termine “omicidi del lavoro”? Perchè di omicidi si tratta, i cui responsabili sono i sistemi di produzione delle economie industrializzate che si sono spinte sempre più verso una direzione incontrollabile, sia in termini di diritti che di salvaguardia delle vite dei lavoratori.
La sicurezza è stata comparata ad un “optional”, annoverata fra i costi aziendali non più sostenibili, del resto il Ministro Tremonti, citando la legge 626, ora sostituita dalla nuova legge 81 – quella che appunto regola la sicurezza dei lavoratori – ha dichiarato che è un lusso che non ci possiamo permettere.
In attesa che l’Inail pubblichi i dati ufficiali degli infortuni mortali sul lavoro, ci viene in aiuto l’Osservatorio indipendente di Bologna, il quale ha contato un totale di 1080 decessi nel 2010, più di tre al giorno. Notizie queste, che occupano semplicemente un piccolo articolo di cronaca di un giornale di provincia, senza che venga intrapresa una seria riflessione sia politica che normativa, destinata a comprendere ed attuare soluzioni che modifichino radicalmente il modo di pensare alla sicurezza, che non deve essere considerata come un costo, ma un valore aggiunto, un valore sociale.
Vi siete mai posti la seguente domanda: la ricchezza del Paese Italia, espressa dal Pil, quante vite umane costa? Vite di lavoratori che non tornano più a casa la sera dalle proprie famiglie, vite ingabbiate in un sistema che stritola irrimediabilmente una società costretta a dire sempre sì, vittima di una serie di distorsioni che hanno colpito il modo di pensare e fare politica, dove l’opinione pubblica è stata neutralizzata dal ciarpame propinato ogni giorno dai media.
Se si raffrontano i dati degli infortuni sul lavoro con i dati resi noti dal Ministero del Tesoro, riferiti all’anno 2009, si può capire molto bene che i lavoratori pagano a caro prezzo la ricchezza che producono. Con un Pil di 1521 miliardi di euro, quello appunto del 2009, il cui 32% – pari a circa 487 miliardi di euro – è da considerarsi profitto delle aziende, e ben 790.000 denunce di infortuni sul lavoro pervenute all’Inail, delle quali 1050 mortali, per ogni miliardo di profitto più di due lavoratori perdono la vita in incidenti.
Situazione questa non più tollerabile per un Paese civile, sempre se ancora lo siamo a tutti gli effetti, ecco perchè è necessario riscoprire e far riscoprire il tema lavoro come tema centrale di una rinnovata pratica politica, che sappia parlare, dialogare, con il proprio popolo, che sappia comprendere senza ipocrisia e preconcetti quello che di meglio la Sinistra può proporre ad un Paese allo sbando.
L’Italia è stanca di subire la legge del più forte, la legge del ricatto, la violenza che di giorno in giorno viene inferta all’intero assetto democratico, l’Italia è stanca di questa economia sempre in una condizione di esasperata competizione, l’Italia è stanca di essere una “italietta”, l’Italia è stanca di essere divorata dall’indifferenza.
Andrea Sironi
http://www.sinistraeliberta.eu/vetrina/non-chiamatele-morti-bianche
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